Capo
delle milizie celesti in lotta contro il male, insieme con Gabriele e Raffaele
è uno dei sette arcangeli che stanno di fronte al trono di Dio.
Il
nome, come tanti altri dell’onomastica ebraica (tra cui anche gli altri due
arcangeli), ha carattere teoforico, cioè porta in sé il nome di Dio; deriva
infatti dalla frase mi kha El? che
significa “chi (è) come Dio?”, il grido di battaglia dell’Arcangelo nella lotta
contro i demoni. El è infatti l’abbreviazione
di “Elhoim”, “Dio”, che per gli ebrei
non può essere scritto interamente. Attraverso il greco antico giunge alla
lingua latina dove il nome diviene Michaelem,
mentre il grido è tradotto in Quis ut
Deus?, frase che appare spesso nell’iconografia e nelle decorazioni a lui riferite.
Il culto dell’Arcangelo Michele è di origine
orientale, fu l’imperatore Costantino I a partire dal 313 d.C. a tributargli una
particolare devozione, mentre alla fine del V secolo
abbiamo l’apparizione dell’arcangelo sul Monte Gargano
in Puglia,
ove sorge tutt’oggi il santuario a lui dedicato. Nel 590, papa Gregorio I vide
apparire su Castel Sant’Angelo San
Michele che deponeva la spada nel fodero, segno che la terribile epidemia
sarebbe cessata, apparve ancora nel 709 a sant’Uberto, vescovo di Avranches, chiedendo
che gli fosse costruita una chiesa sulla roccia dell’isolotto francese di Mont
Saint-Michel.
Infine è anche presente nella “Chanson de Roland” ove
è chiamato San Michele del Mare del
Periglio, poiché salva gli uomini dal peccato o mare del pericolo, quando
viene a prendere l’anima di Orlando insieme a San Gabriele e ad un cherubino.
L’iconografia bizantina predilige l’immagine dell’arcangelo
in abiti da dignitario di corte (con il loron)
rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime,
più adottata invece in Occidente.
Riguardo
a quest’ultima abbiamo due differenti correnti, la prima si riferisce ai passi
dell’Apocalisse e si rifà al periodo medievale: è quasi sempre raffigurato come
guerriero alato che incalza il drago dalle sette teste raffigurante Satana (Ap
12, 7-9), l’immagine ricorre molto frequentemente nelle chiese dedicate a San
Michele. Egli indossa una cotta di maglie ed è armato di uno scudo (su cui è
inciso il motto Quis ut Deus), e di
una spada o di una lancia, o di entrambe. Sotto ai piedi del Santo che sta per
ucciderlo, rappresentato come drago, si trova Satana. Una variante a questo
schema è rappresentata dal diavolo, con fattezze umane ed ali di drago, caduto
tra le fiamme. L’immagine più conosciuta è quella dipinta dal bolognese Guido
Reni in cui l’Arcangelo, con la spada alzata sulla destra che punta la sua
vittima, è sul punto d’uccidere il demonio a cui schiaccia la testa col piede sinistro,
mentre sulla mano sinistra tiene delle catene. Ripresa poi successivamente
dagli altri pittori, alcune volte con la bilancia al posto delle catene.
Certamente ispirato al prototipo reniano
è l’olio su tela del pittore messinese Antonino Bova collocato sull’altare
maggiore della chiesa di San Michele a Palazzolo Acreide, datato tra l’ottavo e
il nono decennio del Seicento. Il simulacro che si conserva dietro questa pala
d’altare presenta invece il Santo con l’armatura d’oro, la spada e lo scudo,
mentre il demonio sotto i piedi ha una colorazione molto scura.
Solitamente
l’Arcangelo è privo di elmo con i capelli al vento, le poche varianti con
l’elmo, come quella della vicina cittadina di Canicattini Bagni, sono
certamente da far risalire all’altra corrente iconografica riferita al culto
dei sette Arcangeli.
Questa sorse a
Palermo per la devozione del prete cefaludense Antonio Duca, quando nella
vecchia chiesa di S. Arcangelo al Cassero di Palermo vennero scoperte sull’intonaco
le immagini dei sette angeli con i loro nomi e attributi, fu da questo diffusa
anche a Roma con tanta perseveranza da far riuscire a consacrare a Pio IV nel
1561 la grande sala delle terme di Diocleziano trasformata in chiesa da
Michelangelo e dedicata appunto a S. Maria degli Angeli.
Questo filone iconografico, come aveva
descritto lo stesso Antonio Duca, presente Michele, definito vittorioso, che
veste la corazza e porta il vessillo bianco con la croce rossa; Gabriele,
nunzio, ha una lanterna ed uno specchio di diaspro coperto di macchie rosse;
Raffaele, medico, tiene una pisside e conduce per mano Tobiolo che porta un
pesce; Barachiele, auditore, porta una rosa bianca dentro il mantello;
Ieuridiele, remuneratore, porta con la destra una corona d’oro e con la
sinistra il flagello; Uriele, forte compagno, trafitto nel petto da una nuda
spada, poggia su una fiamma; Salitiele, orante, tiene le mani incrociate sul
petto in atto di pregare.
La piramide angelica ha qui alla base,
riconoscibili dai loro attributi, l’Arcangelo Gabriele a sinistra, e a destra
Raffaele, e culmina con la trionfale figura di Michele, che indossa elmo e
corazza e imbraccia lo scudo, recando nella destra il lungo vessillo
ondeggiante.
San
Michele viene anche rappresentato nell’atto di pesare i morti (psicostasia),
per stabilire la loro giusta ricompensa, elemento che presenta equivalenti già
nelle religioni greca (Mercurio) ed egizia. Nell’iconografia cristiana viene
normalmente ritratto con in mano una bilancia che ha su ciascun piatto un’anima,
rappresentata come una minuscola figurina umana ignuda. Una è più pesante dell’altra,
sebbene non vi sia accordo tra gli artisti su quale pesi di più, se quella dell’eletto
o quella del dannato; un motivo particolare mostra un demone che di soppiatto
fa pendere la bilancia a proprio favore. In quanto pesatore di anime San
Michele riveste un ruolo centrale nelle scene del Giudizio Universale.
Compare
anche in numerose altre opere, associato spesso ad altri santi o ai committenti
dell’opera stessa, ad esempio ai piedi della Vergine, come nelle raffigurazioni
di S. M. dell’Incoronata di Foggia, e perfino in un transito di San Giuseppe,
pronto ad accogliere l’anima del padre putativo del Messia.
La
spada è, in primo luogo, il simbolo della condizione militare e della sua
virtù, l’ardimento, come della sua funzione, la potenza. Nelle tradizioni
cristiane la spada è l’arma nobile, che appartiene ai cavalieri e agli eroi
cristiani. Quale guerriero di Dio e vincitore delle potenze infernali, l’Arcangelo
Michele ha spesso una spada tra le mani, qualche volta pure fiammeggiante. Si
tratta della “fiamma della spada folgorante” posta, nella Genesi, a guardia
dell’Eden, che John Milton, nel suo poema Il
Paradiso perduto, identifica con San Michele.
La
spada è inoltre, nel doppio aspetto costruttivo e distruttivo, un simbolo del
Verbo, della Parola, «la spada dello
Spirito, cioè la parola di Dio»
(Ef. 6,17). La spada affilata a doppio taglio che esce dalla bocca di Cristo
(Ap. 1,16) è il simbolo della forza invincibile e della verità celeste che,
come un fulmine, scendono dal cielo e rappresenta il potere di giudizio.
Associata alla bilancia si riferisce specialmente alla giustizia: separa il
bene dal male, colpisce il colpevole.
La
bilancia è in generale il simbolo della giustizia e del retto comportamento, ed
in particolare della misura, della prudenza, dell’equilibrio, del confronto fra
azioni ed obblighi perché serve a soppesare
gli atti; associata alla spada indica la Giustizia che si accompagna alla Verità.
L’armatura,
insieme alla spada, è attributo della condizione militare di soldato e Michele
è il principe delle milizie celesti, colui che lotta contro il maligno sin
dalla creazione.
Lo
scudo è un altro attributo del combattente, è «lo scudo della fede, con il
quale… spegnere tutti i dardi infuocati del maligno» (Ef. 6, 16). Viene
considerato un attributo secondario in quanto poco diffuso ed alternativo alla
bilancia quasi sempre presente.
Le
catene che porta in mano, altro attributo secondario, rappresentano la
schiavitù dal peccato che imprigiona l’uomo condannandolo alla dannazione
eterna.
La
lancia è, come la spada di cui rappresenta una stilizzazione, un altro
attributo del milite, un’arma di lotta, per essa vale quanto detto per lo scudo
in quanto sostituta della spada.
I simboli
iconografici presenti nelle varie decorazioni delle chiese presentano la spada
che incrocia la bilancia a due bracci, qualche volta, per motivi estetici, le
spade diventano due incrociate tra loro che si sovrappongono alla bilancia a
due bracci, mentre di rado è presente lo scudo. Sovente si può invece leggere
la sua iscrizione latina: QVIS VT DEVS.
Sarà
possibile appurare tutti questi aspetti visitando le chiese, non solo durante
il periodo della festa, ma anche le domeniche ed i feriali intorno all’orario
delle celebrazioni liturgiche.
[ Da “San Michele l'arcangelo guerriero”, pag. 16 del bimestrale « I Siracusani » n. 65, Anno XII, settembre-ottobre 2008 ]
[ Da “San Michele l'arcangelo guerriero”, pag. 16 del bimestrale « I Siracusani » n. 65, Anno XII, settembre-ottobre 2008 ]