sabato 29 settembre 2012

San Michele l’angelo guerriero


Capo delle milizie celesti in lotta contro il male, insieme con Gabriele e Raffaele è uno dei sette arcangeli che stanno di fronte al trono di Dio.
Il nome, come tanti altri dell’onomastica ebraica (tra cui anche gli altri due arcangeli), ha carattere teoforico, cioè porta in sé il nome di Dio; deriva infatti dalla frase mi kha El? che significa “chi (è) come Dio?”, il grido di battaglia dell’Arcangelo nella lotta contro i demoni. El è infatti l’abbreviazione di “Elhoim”, “Dio”, che per gli ebrei non può essere scritto interamente. Attraverso il greco antico giunge alla lingua latina dove il nome diviene Michaelem, mentre il grido è tradotto in Quis ut Deus?, frase che appare spesso nell’iconografia e nelle decorazioni a lui riferite.
Il culto dell’Arcangelo Michele è di origine orientale, fu l’imperatore Costantino I a partire dal 313 d.C. a tributargli una particolare devozione, mentre alla fine del V secolo abbiamo l’apparizione dell’arcangelo sul Monte Gargano in Puglia, ove sorge tutt’oggi il santuario a lui dedicato. Nel 590, papa Gregorio I vide apparire su Castel Sant’Angelo San Michele che deponeva la spada nel fodero, segno che la terribile epidemia sarebbe cessata, apparve ancora nel 709 a sant’Uberto, vescovo di Avranches, chiedendo che gli fosse costruita una chiesa sulla roccia dell’isolotto francese di Mont Saint-Michel.
Infine è anche presente nella “Chanson de Roland” ove è chiamato San Michele del Mare del Periglio, poiché salva gli uomini dal peccato o mare del pericolo, quando viene a prendere l’anima di Orlando insieme a San Gabriele e ad un cherubino.
L’iconografia bizantina predilige l’immagine dell’arcangelo in abiti da dignitario di corte (con il loron) rispetto a quella del guerriero che combatte il demonio o che pesa le anime, più adottata invece in Occidente.
Riguardo a quest’ultima abbiamo due differenti correnti, la prima si riferisce ai passi dell’Apocalisse e si rifà al periodo medievale: è quasi sempre raffigurato come guerriero alato che incalza il drago dalle sette teste raffigurante Satana (Ap 12, 7-9), l’immagine ricorre molto frequentemente nelle chiese dedicate a San Michele. Egli indossa una cotta di maglie ed è armato di uno scudo (su cui è inciso il motto Quis ut Deus), e di una spada o di una lancia, o di entrambe. Sotto ai piedi del Santo che sta per ucciderlo, rappresentato come drago, si trova Satana. Una variante a questo schema è rappresentata dal diavolo, con fattezze umane ed ali di drago, caduto tra le fiamme. L’immagine più conosciuta è quella dipinta dal bolognese Guido Reni in cui l’Arcangelo, con la spada alzata sulla destra che punta la sua vittima, è sul punto d’uccidere il demonio a cui schiaccia la testa col piede sinistro, mentre sulla mano sinistra tiene delle catene. Ripresa poi successivamente dagli altri pittori, alcune volte con la bilancia al posto delle catene.
Certamente ispirato al prototipo reniano è l’olio su tela del pittore messinese Antonino Bova collocato sull’altare maggiore della chiesa di San Michele a Palazzolo Acreide, datato tra l’ottavo e il nono decennio del Seicento. Il simulacro che si conserva dietro questa pala d’altare presenta invece il Santo con l’armatura d’oro, la spada e lo scudo, mentre il demonio sotto i piedi ha una colorazione molto scura.
Solitamente l’Arcangelo è privo di elmo con i capelli al vento, le poche varianti con l’elmo, come quella della vicina cittadina di Canicattini Bagni, sono certamente da far risalire all’altra corrente iconografica riferita al culto dei sette Arcangeli.
Questa sorse a Palermo per la devozione del prete cefaludense Antonio Duca, quando nella vecchia chiesa di S. Arcangelo al Cassero di Palermo vennero scoperte sull’intonaco le immagini dei sette angeli con i loro nomi e attributi, fu da questo diffusa anche a Roma con tanta perseveranza da far riuscire a consacrare a Pio IV nel 1561 la grande sala delle terme di Diocleziano trasformata in chiesa da Michelangelo e dedicata appunto a S. Maria degli Angeli.
Questo filone iconografico, come aveva descritto lo stesso Antonio Duca, presente Michele, definito vittorioso, che veste la corazza e porta il vessillo bianco con la croce rossa; Gabriele, nunzio, ha una lanterna ed uno specchio di diaspro coperto di macchie rosse; Raffaele, medico, tiene una pisside e conduce per mano Tobiolo che porta un pesce; Barachiele, auditore, porta una rosa bianca dentro il mantello; Ieuridiele, remuneratore, porta con la destra una corona d’oro e con la sinistra il flagello; Uriele, forte compagno, trafitto nel petto da una nuda spada, poggia su una fiamma; Salitiele, orante, tiene le mani incrociate sul petto in atto di pregare.
La Chiesa tuttavia non aveva mai approvato ufficialmente il culto dei sette Arcangeli, di cui quattro erano apocrifi, e approvò soltanto l’iconografia dei santi Michele, Gabriele e Raffaele. La raffigurazione dei sette Arcangeli tuttavia continuerà comunque ad essere riprodotta, togliendo nomi ed attributi agli angeli apocrifi e traslando l’iconografia dei sette angeli in piedi davanti a Dio di cui parla il libro di Tobia. Con questa accezione sono raffigurati da Federico Zuccari nella cappella degli Angeli nella chiesa del Gesù a Roma, in contemplazione dinnanzi alla Trinità, e come tali compaiono anche in una tela ad olio del pittore messinese Antonio Catalano il vecchio, presente nella navata laterale della Chiesa del Collegio a Siracusa.
La piramide angelica ha qui alla base, riconoscibili dai loro attributi, l’Arcangelo Gabriele a sinistra, e a destra Raffaele, e culmina con la trionfale figura di Michele, che indossa elmo e corazza e imbraccia lo scudo, recando nella destra il lungo vessillo ondeggiante.
San Michele viene anche rappresentato nell’atto di pesare i morti (psicostasia), per stabilire la loro giusta ricompensa, elemento che presenta equivalenti già nelle religioni greca (Mercurio) ed egizia. Nell’iconografia cristiana viene normalmente ritratto con in mano una bilancia che ha su ciascun piatto un’anima, rappresentata come una minuscola figurina umana ignuda. Una è più pesante dell’altra, sebbene non vi sia accordo tra gli artisti su quale pesi di più, se quella dell’eletto o quella del dannato; un motivo particolare mostra un demone che di soppiatto fa pendere la bilancia a proprio favore. In quanto pesatore di anime San Michele riveste un ruolo centrale nelle scene del Giudizio Universale.
Compare anche in numerose altre opere, associato spesso ad altri santi o ai committenti dell’opera stessa, ad esempio ai piedi della Vergine, come nelle raffigurazioni di S. M. dell’Incoronata di Foggia, e perfino in un transito di San Giuseppe, pronto ad accogliere l’anima del padre putativo del Messia.
I suoi attributi iconografici principali sono quindi la spada e la bilancia a due bracci.
La spada è, in primo luogo, il simbolo della condizione militare e della sua virtù, l’ardimento, come della sua funzione, la potenza. Nelle tradizioni cristiane la spada è l’arma nobile, che appartiene ai cavalieri e agli eroi cristiani. Quale guerriero di Dio e vincitore delle potenze infernali, l’Arcangelo Michele ha spesso una spada tra le mani, qualche volta pure fiammeggiante. Si tratta della “fiamma della spada folgorante” posta, nella Genesi, a guardia dell’Eden, che John Milton, nel suo poema Il Paradiso perduto, identifica con San Michele.
La spada è inoltre, nel doppio aspetto costruttivo e distruttivo, un simbolo del Verbo, della Parola, «la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio» (Ef. 6,17). La spada affilata a doppio taglio che esce dalla bocca di Cristo (Ap. 1,16) è il simbolo della forza invincibile e della verità celeste che, come un fulmine, scendono dal cielo e rappresenta il potere di giudizio. Associata alla bilancia si riferisce specialmente alla giustizia: separa il bene dal male, colpisce il colpevole.
La bilancia è in generale il simbolo della giustizia e del retto comportamento, ed in particolare della misura, della prudenza, dell’equilibrio, del confronto fra azioni ed obblighi perché serve a soppesare gli atti; associata alla spada indica la Giustizia che si accompagna alla Verità.
L’armatura, insieme alla spada, è attributo della condizione militare di soldato e Michele è il principe delle milizie celesti, colui che lotta contro il maligno sin dalla creazione.
Lo scudo è un altro attributo del combattente, è «lo scudo della fede, con il quale… spegnere tutti i dardi infuocati del maligno» (Ef. 6, 16). Viene considerato un attributo secondario in quanto poco diffuso ed alternativo alla bilancia quasi sempre presente.
Le catene che porta in mano, altro attributo secondario, rappresentano la schiavitù dal peccato che imprigiona l’uomo condannandolo alla dannazione eterna.
La lancia è, come la spada di cui rappresenta una stilizzazione, un altro attributo del milite, un’arma di lotta, per essa vale quanto detto per lo scudo in quanto sostituta della spada.
I simboli iconografici presenti nelle varie decorazioni delle chiese presentano la spada che incrocia la bilancia a due bracci, qualche volta, per motivi estetici, le spade diventano due incrociate tra loro che si sovrappongono alla bilancia a due bracci, mentre di rado è presente lo scudo. Sovente si può invece leggere la sua iscrizione latina: QVIS VT DEVS.
Sarà possibile appurare tutti questi aspetti visitando le chiese, non solo durante il periodo della festa, ma anche le domeniche ed i feriali intorno all’orario delle celebrazioni liturgiche.

[ Da “San Michele l'arcangelo guerriero”, pag. 16 del bimestrale « I Siracusani » n. 65, Anno XII,  settembre-ottobre 2008 ]