domenica 24 marzo 2013

L’olivo e le sue leggende


« Mi rivolgo a voi che avete il plauso di aver toccato con le mani la leggenda… »
Ricorre oggi la domenica delle Palme che nella tradizione cristiana ricorda l’ingresso trionfale a Gerusalemme di Gesù.
In occasione della sua ultima pasqua Gesù si recò nella città santa di Gerusalemme ove fu accolto come Messia dalla folla festante che lo acclamò gridando “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore” e agitando rami d’ulivo e di palma.
Leggende sacre e profane, riti religiosi e simbolici, raffigurazioni mitologiche avvalorano l’importanza storica della cultura dell’olivo e il suo grande valore simbolico.
Dice la Bibbia che nel momento in cui gli alberi decisero di eleggere un Re, il primo ad essere designato come più meritevole di questa suprema dignità fu l’ulivo il quale, malgrado le vivaci insistenze rivoltegli, declinò l’incarico giustificando il suo rifiuto per il fatto che le cure del governo avrebbero potuto distrarlo dalla importante missione affidatagli da Dio a vantaggio degli uomini.
Racconta la leggenda che Noè dopo il diluvio universale fece uscire una colomba dall’arca e questa ritornò con un ramoscello di ulivo tra il becco, segno che le acque si erano ritirate e che la pace era sulla terra. Da qui la colomba assurge a simbolo di pace, con o senza ramoscello d’ulivo.
Sull’Acropoli di Atene esiste una pianta d’olivo che sembra abbia dato origine al mito. Scolpita sul frontone del Partenone, la mitologia greca tramanda che un giorno avvenne una contesa presso gli Dei dell’Olimpo, in particolare fra Poseidone (Nettuno per i romani) e Atena (Minerva per i romani) per la signoria dell’Attica; una nuova città stava nascendo sulle mosse colline: il destino aveva preparato per essa molte glorie. Non aveva ancora nome che le due divinità se ne disputavano ferocemente il possesso e Zeus (Giove per i romani), che quel giorno era di ottimo umore (non doveva tenere a bada gli amanti di Era né trasformarsi in pioggia per amare una donna), stabilì che avrebbe concesso il dominio (e intitolato la nuova città) a chi tra i due contendenti avesse portato il dono migliore.
Poseidone, scagliò  il suo tridente contro la roccia, fece sgorgare acqua di mare (un’altra fonte parla invece di percuotere la sabbia bagnata della battigia da cui ne scaturì un meraviglioso cavallo bianco che incominciò a correre sul bagnasciuga) asserendo che  con quel gesto gli ateniesi sarebbero stati i dominatori invincibili del mare.

Pàllade Atena invece si portò a ridosso delle mura in costruzione e sfiorò la terra con la sua lancia: d’incanto nacque immediatamente un albero dalle foglie d’argento con delle bacche verdi, l’olivo appunto. Esso serviva per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione. Era evidente che fra il potere che avrebbe procurato guerre e l’albero che avrebbe dato frutti, quindi benessere e pace, il dono di Atena era più utile, quindi fu lei a vincere la sfida, in suo onore la città venne chiamata Atene ed il culto greco le consacrò l’ulivo, che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene, presidiato dai soldati perché sacro. Questa leggenda era raffigurata nella classica moneta da 100 lire che per molti anni ha circolato in Italia fino ad essere sostituita dall’euro.
A Roma l’olivo era dedicato a Minerva e Giove. I romani, pur nella loro praticità di considerare l’olio d’oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i cittadini illustri con corone intrecciate di fronde di olivo, così pure gli sposi il giorno delle nozze; i morti infine venivano inghirlandati per significare di essere vincitori nelle lotte della vita umana.

Fu pianta sacra anche per i Sicelioti, i greci di Sicilia, a cui si deve la sua diffusione nell’isola, la tradizione vuole che l’ateniese Aristeo insegnò agli antichi siciliani come estrarre l’olio, inventando u trappitu (tradizionale oleificio a pressione), e per questo fu onorato con un tempio in suo onore a Siracusa. Ma, fu con la dominazione araba che la coltivazione dell’ulivo si diffuse maggiormente in Sicilia.
L’albero in origine era enorme, con il fusto e i rami diritti, come ogni albero che si rispetti, diritto e liscio come il pioppo.
Una seconda leggenda ci spiega come divenne contorto e spaccato come lo vediamo ora.
Dobbiamo trasferirci molti anni dopo, nel periodo della dominazione romana, quando Gesù Cristo fu condannato alla crocifissione. Alcuni soldati vennero inviati a cercare l’albero che sarebbe servito a fare la croce.
Il bosco cominciò a muoversi come fosse venuto un uragano, nessun albero voleva fare una cosa così atroce. Gli alberi, appena videro gli sgherri, cominciarono a pregare il cielo che gli fosse risparmiata la vita. I cedri e le palme fecero un sospiro di sollievo perché uno degli sgherri disse: “Né palme, né cedri fanno al caso nostro!”
Gli ulivi, invece, si sentirono perduti e così tentarono di sradicarsi, di torcersi, di ingobbirsi e iniziarono a gemere e a piegarsi in un susseguirsi di convulsioni, come se un vento fortissimo stesse squassando i rami e le foglie.
Si piegarono e torsero, talmente tanto che i rami si spezzarono, il tronco si piegò spaccando la corteccia. Alla fine rimasero fermi, impotenti a fuggire, ma inutili per sempre a diventare legno per la croce; i soldati  non riuscirono a trovare un solo tronco che corrispondesse alle necessità e dovettero andare altrove a cercare un altro tipo di albero.
Proseguirono la loro ricerca in un’altra foresta poco distante, una foresta di faggi e querce e fu proprio una grande quercia a dare il legno per la croce, ma gli olivi continuarono a crescere così per ricordare a tutti l’orrore evitato. Da allora l’albero dalle foglie d’argento vive felice di essere brutto ma contento di non essere stato usato per crocifiggere Gesù.