La Pasqua, commemorazione della resurrezione di Gesù Cristo, è la principale festività della liturgia cristiana, molto sentita in varie culture ed in particolare nella tradizione siciliana.
Come narra il Nuovo Testamento, Cristo fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica. Il nome Pasqua risale appunto all’ebraico pesah, “passaggio” e deriva dalle istruzioni trasmesse da Dio a Mosè. Con tale nome gli ebrei ricordano il passaggio della schiavitù alla libertà, ma anche il passaggio dell’angelo sterminatore che uccise tutti i primogeniti del popolo egiziano: il popolo ebreo venne risparmiato segnando gli stipiti delle proprie abitazioni con il sangue dell’agnello che aveva sacrificato.
Questi aspetti vengono ripresi nella pasqua cristiana dove indica il “passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà della grazia divina per mezzo della purificazione ottenuta col sangue del Cristo, l’agnello innocente immolato sulla croce, come citato anche nel libro dell’Apocalisse.
Gli stessi simboli sopravvivono ancora oggi nell’uso di consumare carne di agnello o nel comprare dolci con tale forma o con decorazioni che la riportano.
Ad essi si associano fino a fondersi altri simboli come quello della colomba, simbolo di pace, ma anche di purezza (era l’offerta prescritta per i poveri durante il rito della purificazione al tempio).
La rinascita alla nuova vita liberi dal peccato originale, grazie al sacrificio messianico, ha fatto si che si associasse alla festa l’uovo quale simbolo (di origine pagana) di nuova vita che nasce. Ecco quindi spiegata la presenza dell’uovo nei festeggiamenti pasquali, con l’avvento del consumismo si è passati da consumo delle classiche uova, alla loro sostituzione con quelle di cioccolato, alcune anche artisticamente decorate.
Tutta l’area iblea è caratterizzata da numerose tradizioni e processioni caratteristiche che si svolgono nel corso della settimana santa. Nelle chiese, dopo la messa del giovedì santo, l’altare del Santissimo Sacramento viene adornato a festa con fiori e germogli di grano. In vari paesi si svolgono i riti della passione di Cristo il venerdì santo a cui la popolazione partecipa con sentita devozione. Il culmine dei festeggiamenti si raggiunge con le processioni del giorno di Pasqua, che caratterizzano alcuni borghi iblei, con cui si rappresenta la “Paci”, ovvero la rappresentazione dell'incontro tra Maria, libera dal lutto, e Gesù risorto. La Pasqua rappresenta l’occasione di far festa un po’ in tutte le culture, la tradizione della cucina siciliana è piena di preparazioni tipiche di questa festa, soprattutto in campo dolciario.
C’è tuttavia da notare che in passato non tutti si potevano permettere i sontuosi dolci che oggi conosciamo. La dicotomia economica che si riscontrava in passato nella popolazione si rifletteva certamente in una dualità culinaria caratterizzata da differenti preparazioni: mentre la parte benestante della popolazione si poteva permettere cibi raffinati e dolci sontuosi come gli agnelli pasquali o le cassate siciliane spesso preparati nei monasteri, la maggioranza della popolazione apparteneva all’ambiente rurale. Questa tuttavia non rappresentava una limitazione ai festeggiamenti in tavola. La cucina siciliana di origine contadina si caratterizza per la semplicità degli ingredienti usati, come le verdure, ed anche per il largo uso della fantasia personale che la rende davvero molto ricca e saporita. In occasione delle festività pasquali le massaie erano solite preparare la “jaddina cina” (gallina ripiena), una ricetta siracusana preparata per le festività importanti come la Pasqua o il Natale, la gallina veniva dissossata, riempita con il riso condito, cucita e lessata in acqua salata.
Una delle tante tradizioni sono i “cuddure, aceddi e pupi cull’ova”‚ sono di varie forme come bambola, cavalluccio, panierino, porcospino, ecc. fatte con la pasta del pane che contengono uova sode e decorate con la stessa pasta. Questi pani augurali di Pasqua si regalavano alla fidanzata o ai bambini, i cavallucci ed i porcospini ai maschietti, le bamboline ed i panierini alle femminucce.
Il pane di casa è una delle ricette più antiche della cucina tradizionale, simbolo della millenaria tradizione agricola siciliana, si caratterizza per essere fatto con il “criscente” ovvero il lievito naturale che permette all’impasto di farina e acqua di lievitare e quindi di renderlo più digeribile, e cotto nei tradizionali forni a legna in pietra.
Un’altra tradizione sono i “picureddi”, dolci a base di pasta reale, a forma di agnello con una posa classica ovvero sdraiato su un fianco, sopra un prato verde disseminato di confettini multicolori, con una banderuola rossa simile a quella che nell’iconografia sacra è in mano a San Giovanni, infilzata sul dorso. Queste forme ad agnello sono realizzate con la pasta reale detta anche Martorana, poiché furono le suore del Monastero della Martorana di Palermo a tramandare l’arte di questi frutti di marzapane dalle forme e dai colori più disparati, lucidati con gomma arabica. La pasta reale altro non è che un composto realizzato con pasta di mandorle dolci, albume d’uovo e zucchero. Il nome deriva dall’arabo Mauthaban che originariamente indicava una moneta, poi un'unità di misura, quindi lo stesso contenitore del marzapane.
In occasione delle ricorrenze pasquali, le nostre nonne preparavano anche tradizionali “viscotta” fatti in casa con l’ausilio di antiche ricette: biscotti di mandorla, biscotti al latte, biscotti di pasta dura con la forma di colombe, “ciascuna” con ripieno di fichi e “cassateddi” di ricotta.
I “cassateddi ri ricotta” o “cassateddi i Pasqua” o “lumiere”, da non confondere con la tradizionale cassata siciliana anch’essa mangiata il giorno di Pasqua, sono delle preparazioni a base di pasta dolce a forma di piccolo recipiente riempite con ricotta condita con cannella e cioccolato.
Spesso tali preparazioni avvenivano in quantità limitata, correndo anche il rischio di rimanerne senza come testimoniato anche dal detto “cu n’appi n’appi cassateddi i Pasqua” (chi ne ha avute ne ha avute cassatine di ricotta), ma solamente i più poveri non potevano permettersele neanche per il giorno di Pasqua, “mischìnu cu nun manciàu cassàti ’a matìna ’i Pasqua” (povero chi non ha mangiato cassate la mattina di Pasqua”.
Oggi che la nostra cultura culinaria è orientata verso il “già pronto”, alcune di queste antiche tradizioni, non riprese dalle pasticcerie come i “pupi cull’ova”, sopravvivono ormai solo nei libri e nei ricordi degli anziani, correndo il rischio di svanire per sempre.[ Da “Pasqua, alla ricerca delle radici e origini cristiane”, pag. 12 del quotidiano « Libertà » n. 90 di domenica 16 aprile 2006 ]