« Mi rivolgo a voi che avete il
plauso di aver toccato con le mani la leggenda… »
Ricorre oggi la domenica delle
Palme che nella tradizione cristiana ricorda l’ingresso trionfale a Gerusalemme
di Gesù.
In occasione della sua ultima
pasqua Gesù si recò nella città santa di Gerusalemme ove fu accolto come Messia
dalla folla festante che lo acclamò gridando “Osanna! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore” e agitando rami d’ulivo e di palma.
Leggende sacre e profane, riti
religiosi e simbolici, raffigurazioni mitologiche avvalorano l’importanza
storica della cultura dell’olivo e il suo grande valore simbolico.
Dice la Bibbia che nel momento in
cui gli alberi decisero di eleggere un Re, il primo ad essere designato come
più meritevole di questa suprema dignità fu l’ulivo il quale, malgrado le
vivaci insistenze rivoltegli, declinò l’incarico giustificando il suo rifiuto
per il fatto che le cure del governo avrebbero potuto distrarlo dalla
importante missione affidatagli da Dio a vantaggio degli uomini.
Racconta la leggenda che Noè dopo
il diluvio universale fece uscire una colomba dall’arca e questa ritornò con un
ramoscello di ulivo tra il becco, segno che le acque si erano ritirate e che la
pace era sulla terra. Da qui la colomba assurge a simbolo di pace, con o senza
ramoscello d’ulivo.
Sull’Acropoli di Atene esiste una
pianta d’olivo che sembra abbia dato origine al mito. Scolpita sul frontone del
Partenone, la mitologia greca tramanda che un giorno avvenne una contesa presso
gli Dei dell’Olimpo, in particolare fra Poseidone (Nettuno per i romani) e
Atena (Minerva per i romani) per la signoria dell’Attica; una nuova città stava
nascendo sulle mosse colline: il destino aveva preparato per essa molte glorie.
Non aveva ancora nome che le due divinità se ne disputavano ferocemente il
possesso e Zeus (Giove per i romani), che quel giorno era di ottimo umore (non
doveva tenere a bada gli amanti di Era né trasformarsi in pioggia per amare una
donna), stabilì che avrebbe concesso il dominio (e intitolato la nuova città) a
chi tra i due contendenti avesse portato il dono migliore.
Poseidone, scagliò il suo tridente contro la roccia, fece
sgorgare acqua di mare (un’altra fonte parla invece di percuotere la sabbia
bagnata della battigia da cui ne scaturì un meraviglioso cavallo bianco che
incominciò a correre sul bagnasciuga) asserendo che con quel gesto gli ateniesi sarebbero stati i
dominatori invincibili del mare.
Pàllade Atena invece si portò a
ridosso delle mura in costruzione e sfiorò la terra con la sua lancia:
d’incanto nacque immediatamente un albero dalle foglie d’argento con delle
bacche verdi, l’olivo appunto. Esso serviva per illuminare la notte, per
medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione. Era evidente che fra
il potere che avrebbe procurato guerre e l’albero che avrebbe dato frutti,
quindi benessere e pace, il dono di Atena era più utile, quindi fu lei a
vincere la sfida, in suo onore la città venne chiamata Atene ed il culto greco
le consacrò l’ulivo, che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene,
presidiato dai soldati perché sacro. Questa leggenda era raffigurata nella
classica moneta da 100 lire che per molti anni ha circolato in Italia fino ad
essere sostituita dall’euro.
A Roma l’olivo era dedicato a
Minerva e Giove. I romani, pur nella loro praticità di considerare l’olio
d’oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare,
mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i cittadini
illustri con corone intrecciate di fronde di olivo, così pure gli sposi il
giorno delle nozze; i morti infine venivano inghirlandati per significare di
essere vincitori nelle lotte della vita umana.
Fu pianta sacra anche per i
Sicelioti, i greci di Sicilia, a cui si deve la sua diffusione nell’isola, la
tradizione vuole che l’ateniese Aristeo insegnò agli antichi siciliani come
estrarre l’olio, inventando u trappitu
(tradizionale oleificio a pressione), e per questo fu onorato con un tempio in
suo onore a Siracusa. Ma, fu con la dominazione araba che la coltivazione
dell’ulivo si diffuse maggiormente in Sicilia.
L’albero in origine era enorme,
con il fusto e i rami diritti, come ogni albero che si rispetti, diritto e
liscio come il pioppo.
Una seconda leggenda ci spiega come
divenne contorto e spaccato come lo vediamo ora.
Dobbiamo trasferirci molti anni
dopo, nel periodo della dominazione romana, quando Gesù Cristo fu condannato
alla crocifissione. Alcuni soldati vennero inviati a cercare l’albero che
sarebbe servito a fare la croce.
Il bosco cominciò a muoversi come
fosse venuto un uragano, nessun albero voleva fare una cosa così atroce. Gli
alberi, appena videro gli sgherri, cominciarono a pregare il cielo che gli
fosse risparmiata la vita. I cedri e le palme fecero un sospiro di sollievo
perché uno degli sgherri disse: “Né palme, né cedri fanno al caso nostro!”
Gli ulivi, invece, si sentirono
perduti e così tentarono di sradicarsi, di torcersi, di ingobbirsi e iniziarono
a gemere e a piegarsi in un susseguirsi di convulsioni, come se un vento
fortissimo stesse squassando i rami e le foglie.
Si piegarono e torsero, talmente
tanto che i rami si spezzarono, il tronco si piegò spaccando la corteccia. Alla
fine rimasero fermi, impotenti a fuggire, ma inutili per sempre a diventare legno
per la croce; i soldati non riuscirono a
trovare un solo tronco che corrispondesse alle necessità e dovettero andare
altrove a cercare un altro tipo di albero.
Proseguirono la loro ricerca in
un’altra foresta poco distante, una foresta di faggi e querce e fu proprio una
grande quercia a dare il legno per la croce, ma gli olivi continuarono a
crescere così per ricordare a tutti l’orrore evitato. Da allora l’albero dalle
foglie d’argento vive felice di essere brutto ma contento di non essere stato
usato per crocifiggere Gesù.